A pochi giorni dalla chiusura della campagna referendaria mi voglio cimentare in
una valutazione «nel
merito» del
provvedimento che, dopo anni di discussioni ed
anche di fallimenti, viene
sottoposto al giudizio degli elettori.
Lo
faccio dopo aver constatato, purtroppo, che la maggior parte degli
interventi, soprattutto sui social network, non badano alla sostanza della riforma ma, essenzialmente,
sono il frutto di una scelta pre-giudiziale,
in cui il giudizio sui contenuti viene accantonato per dar posto al
giudizio sul governo, sui partiti, sulle persone, ecc. ecc.. .
La riforma proposta si basa su alcuni punti qualificanti:
La riforma proposta si basa su alcuni punti qualificanti:
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L'abolizione di un Senato elettivo e l'istituzione di un Senato delle autonomie formato da 100 componenti;
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Lo snellimento nei tempi per approvare le leggi;
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L'abolizione del Cnel (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro);
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Il riordino delle competenze tra Stato e Regioni con il ritorno allo Stato di materie strategiche per lo sviluppo e la programmazione economica del Paese;
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L'abolizione formale e definitiva dalla Carta costituzionale delle Province.
La
riforma del Senato, che è il cuore della riforma stessa, permette
la riduzione del numero
dei senatori e l'abolizione del bicameralismo perfetto, voluto dai
padri costituenti per ripartire la sovranità democratica in due
Camere.
Il
superamento del
bicameralismo perfetto, rimasto unico
caso in Europa, insieme
allo sganciamento del Senato dal rapporto di fiducia al Governo,
permetterà di creare una Camera politica basata sulla dialettica tra
maggioranza e minoranza, come avviene
in Francia, Inghilterra,
Spagna, Germania e Usa. Eliminerà il cosidetto effetto "ping pong" con le lungaggini dovute agli infiniti passaggi tra Camera e Senato.
Nel
nuovo assetto Camera e Senato avranno poteri diversi. La Camera
voterà la fiducia al Governo e le leggi ordinarie, evitando
maggioranze diverse, che bloccano, come in queste ultime legislature,
l'operato del Governo, mentre il Senato rappresenterà le istituzioni
territoriali e concorrerà all'esercizio delle funzioni di raccordo
tra lo Stato e l'Unione Europea.
Il
nuovo Senato sarà composto da
100 membri, 74 consiglieri
regionali, 21 sindaci e 5 componenti nominati dal Presidente della
Repubblica. La loro carica durerà sette anni, mentre rimarranno
senatori a vita gli ex Presidenti della Repubblica.
La
riforma conserva l'immunità parlamentare per i senatori
nell'esercizio delle loro funzioni e
non, come si vorrebbe far credere, per
fatti connessi alla carica di Consigliere Regionale o Sindaco.
Inoltre, una nuova legge
elettorale dovrà stabilire le regole di elezione dei
consiglieri-senatori.
I
Senatori non
percepiranno indennità di carica ma manterranno quella dei
Consigli regionali e dei Comuni da cui proverranno.
Altri
punti della riforma:
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La soppressione delle Province: la Repubblica, infatti, sarà costituita dai Comuni, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. Per questo il nuovo Senato diventerà l'organo di rappresentanza delle istituzioni territoriali.
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La soppressione del Cnel, composto da 64 consiglieri e da un presidente, con relativa eliminazione di burocrazia e di poltrone.
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Le materie concorrenti tra Stato e Regioni, che in questi anni hanno contribuito a bloccare il Paese ed il lavoro della Corte Costituzionale, chiamata a dirimere i conflitti tra Stato e Regioni, sono state restituite allo Stato secondo quanto la Corte ha stabilito in questi ultimi anni. Per esempio, saranno di competenza esclusiva dello Stato la gestione delle reti di trasporto, i porti e aeroporti civili e la distribuzione di energia ed altre materia di importanza strategica.
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Il procedimento legislativo è stato snellito: le leggi verranno approvate dalla sola Camera ed il Senato potrà esaminarle e, nei 30 giorni successivi, proporre modifiche su cui la Camera si pronuncerà in via definitiva. È previsto il «voto a data certa», entro 70 giorni, per i provvedimenti che il Governo ritenga essenziali per adempiere al suo programma di governo sul quale ha ricevuto il voto del corpo elettorale.
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Per l'elezione del Presidente della Repubblica si prevede un quorum più alto, per cui non potrà essere eletto un presidente che non abbia un ampio consenso parlamentare e, quindi, con il coinvolgimento delle minoranze;
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Viene introdotto il referendum propositivo e di indirizzo per la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Se le firme raccolte saranno più di 800.000, la riforma prevede una sorta di premio per il referendum: il quorum sarà calcolato sulla metà dei votanti delle ultime politiche e non più sulla metà più uno degli aventi diritto. Mentre le firme per presentare un disegno di legge di iniziativa popolare passano da 50.000 a 150.000, i regolamenti della Camera dovranno indicare però tempi certi per l'esame in assemblea.
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Per la prima volta viene riconosciuto in Costituzione uno statuto per le opposizioni e sarà possibile distinguere l'operato del Governo dalle opposizioni, che avranno dignità come nei modelli di matrice anglosassone.
Questa è la riforma e non mi pare vi sia niente di pericoloso per la democrazia, anzi, se è vero che questa deve essere efficace se vuole mantenere il consenso popolare e non alimentare, quindi, con l'inefficacia i populismi di varia natura, credo stiamo andando nella direzione giusta.
Ed è evidente che se la riforma viene valutata nel merito non può non rappresentare un serio tentativo di semplificazione e di miglioramento delle istituzioni: come si fa a dire no al taglio dei parlamentari? O alla chiarezza nel rapporto tra Stato e Regioni? Alla riduzione del numero dei politici e dei loro stipendi? Eppure il dibattito di queste settimane rasenta l'inverosimile con una tale confusione che, temo, porterà molti elettori a non recarsi alle urne.
Ed è evidente che se la riforma viene valutata nel merito non può non rappresentare un serio tentativo di semplificazione e di miglioramento delle istituzioni: come si fa a dire no al taglio dei parlamentari? O alla chiarezza nel rapporto tra Stato e Regioni? Alla riduzione del numero dei politici e dei loro stipendi? Eppure il dibattito di queste settimane rasenta l'inverosimile con una tale confusione che, temo, porterà molti elettori a non recarsi alle urne.
In
questo guazzabuglio non poteva mancare la eterna divisione della
sinistra e, più in particolare, del Partito Democratico, per oltre
un ventennio sostenitrice dei capi saldi della riforma attuale, con
il paradosso che parlamentari che l'hanno votata in aula ora sono tra
i più accaniti sostenitori della sua bocciatura; come pure
parlamentari del centro destra, nella fattispecie di Forza Italia,
che ne hanno condiviso l'impostazione ai tempi del cosiddetto “patto
del Nazareno”, e che ora
la maledicono come la più grave iattura possibile. Tutte
forme di infantilismo politico che da decenni ormai condiziona la
vita del Paese con ripicche personali, vendette e smania di protagonismo.
Per non parlare delle grossolane stupidaggini che, pure se messe in bocca a personaggi della cosidetta cultura o dello spettacolo, sono semplicemente il tentativo dei depistare gli elettori.
Per non parlare delle grossolane stupidaggini che, pure se messe in bocca a personaggi della cosidetta cultura o dello spettacolo, sono semplicemente il tentativo dei depistare gli elettori.
Molto
modestamente sono del parere che oggi, alle condizioni date, la
riforma proposta sia la migliore possibile e che ha il merito di aver smosso le
acque della palude in cui ci eravamo cacciati. Non mi pare sia da
Paese normale, per parafrasare il titolo di un libro di un ex leader
della sinistra italiana, avere avuto
63 governi in 70 anni, nè di impiegare anni per varare una legge che tutti riconoscono necessaria ma che non passa per il gioco dei veti e degli inciuci.
Gioverebbe
ricordare che il Governo in carica è nato dopo che le elezioni
politiche del 2013 avevano portato ad una situazione di stallo
pericolosissima, con maggioranze diverse tra Camera e Senato frutto
di una perfida legge elettorale che non dava la sicurezza di un
vincitore certo e con la
paralisi del parlamento che non riusciva a trovare l'accordo per
l'elezione del Presidente della Repubblica.
Certo,
possiamo dire con certezza che
il gioco non dipende
solo dalle regole ma dalla
qualità dei suoi giocatori.
Su
questo versante la riforma
che mi auguro possa essere approvata dalla maggioranza dei cittadini
italiani, non dà
alcuna garanzia: per
questo c'è
bisogno di un
ritorno alla politica
ispirata dai princìpi che sono alla base del vivere democratico;
da una seria responsabilità di costruzione del bene comune, quella
che ha caratterizzato la nostra classe politica nell'immediato dopo
guerra; da vero senso
dello Stato, che è stata
la bussola di molti uomini politici nel momenti più bui della nostra
Repubblica e dall'etica
pubblica che
non è solo quella di chi ci governa ma che deve diventare modus
operandi di tutti
quanti noi.
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